Orfeo era figlio di Apollo e di Calliope. Era un poeta e un musicista . Le Muse gli avevano insegnato a suonare la lira, ricevuta in dono da Apollo. La sua musica e i suoi versi erano così dolci e affascinanti che l'acqua dei torrenti rallentava la sua corsa, i boschi si muovevano, gli uccelli si commuovevano così tanto che non avevano la forza di volare e cadevano, le ninfe uscivano dalle querce e le belve dalle loro tane per andare ad ascoltarlo. "....Cessava il fragore del rapido torrente, e l'acqua fugace, obliosa di proseguire il cammino, perdeva il suo impeto ... Le selve inerti si movevano conducendo sugli alberi gli uccelli; o se qualcuno di questi volava, commuovendosi nell'ascoltare il dolce canto, perdeva le forze e cadeva ... Le ninfe dei boschi, uscendo dalle loro querce, si affrettavano verso il cantore, e perfino le belve accorrevano dalle loro tane al melodioso canto ..." La sua sposa era la ninfa Euridice, ma non era il solo ad amarla: anche Aristeo l'amava e un giorno Euridice, mentre correva per sfuggire a questo innamorato sgradito, fu morsa da un serpente nascosto tra l'erba alta e morì all'istante.
Orfeo allora aveva deciso di andare a riprendersela ed era sceso nell'Ade, nell'oscuro regno dei morti. Con la sua musica era riuscito a commuovere tutti: Caronte lo aveva traghettato sull'altra riva dello Stige, il fiume infernale; Cerbero, l'orribile cane a tre teste, non aveva abbaiato; le Erinni, terribili dee infernali (Aletto, Tisifone e Megera), si erano messe a piangere. I tormenti dei dannati erano cessati (Tantalo non aveva più fame e sete... La ruota di fuoco alla quale era legato Issione si era fermata, gli avvoltoi e i serpenti che martoriavano il corpo di Tizio avevano smesso di mangiargli il fegato e ogni creatura dell’oltretomba, compresi il dio Plutone e sua moglie Proserpina, avevano provato pietà per la triste storia dei due innamorati.
Così Plutone, anche perché sua moglie Proserpina lo aveva tanto pregato, aveva concesso ad Orfeo di riportare Euridice con sé nel regno dei vivi. Ma a un patto: Euridice doveva seguirlo lungo la strada buia degli inferi e lui non doveva mai voltarsi a guardarla prima di arrivare nel mondo dei vivi. "Io te la rendo, ma con queste leggi: che lei ti segua per la ceca via / ma che tu mai la sua faccia non veggi / finché tra i vivi pervenuta sia!"
Avevano iniziato la salita: avanti Orfeo con la sua lira, poi Euridice avvolta in un velo bianco e infine Hermes, che doveva controllare che tutto si svolgesse come voleva Plutone. "Si prendeva un sentiero in salita attraverso il silenzio, arduo e scuro con una fitta nebbia. I due erano ormai vicini alla superficie terrestre. Orfeo temendo di perderla e preso dal forte desiderio di vederla si voltò ma subito la donna fu risucchiata, malgrado tentasse di afferrargli le mani non afferrò altro che aria sfuggente. Così morì per la seconda volta Euridice, ma non si lamentò affatto del marito (di cosa avrebbe dovuto lamentarsi se non di essere stata amata così tanto?) e infine gli diede l'estremo saluto." con un gesto pieno di tenerezza e rassegnazione. Ma Orfeo è inconsolabile e con la sua mano tocca la mano di lei, una carezza che è anche un inutile tentativo di trattenerla.
Inutile, perché Hermes con dolcezza ma anche con determinazione la trattiene accanto a sé: il suo compito sarà riportarla di nuovo, e stavolta per sempre, negli Inferi.
Nemmeno una parola, solo la forza dei gesti per rendere il dolore del distacco tra i due innamorati, e la inevitabilità del destino. Orfeo resterà fedele al suo amore per Euridice e da quel momento non vorrà mai più una donna. Per questo morirà ucciso dalle Menadi, le sacerdotesse di Dioniso, che, rifutate da Semidio, lo faranno a pezzi, gettando i suoi resti nel fiume Ebro. La sua testa, caduta sulla lira, resterà a galla sull'acqua, cosicché Orfeo continuerà a cantare: "Euridice" diceva "O mia misera Euridice!" / E lungo il fiume le rive ripetevano "Euridice Così Zeus, commosso, deciderà di mettere la testa di Orfeo in mezzo al cielo, nella costellazione della Lira.